TOPIC: legge Balduzzi

legge Balduzzi 11 years 4 months ago #10

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Colgo l'occasione offerta da questo forum per esporre alcune considerazioni

Ci sono almeno tre aspetti della legge Balduzzi che avranno un impatto considerevole sulla pratica del medico di medicina generale e sulla qualità dell’assistenza ai cittadini e che meritano un approfondimento.
Nel comma 1 art. 1 delle “NORME PER LA RAZIONALIZZAZIONE DELL’ATTIVITA’ ASSISTENZIALE E SANITARIA” la frase “…al fine di migliorare il livello di efficienza e di capacità di presa in carico dei cittadini” fornisce la motivazione ufficiale dei cambiamenti contenuti nella legge e che, stando alla tempistica prevista, saranno operativi entro la seconda metà del 2013. E' una motivazione che presuppone un giudizio di scarsa efficienza e inadeguata capacità di presa in carico dei pazienti da parte del settore di cure primarie. E’ una valutazione infondata oltre che ingenerosa, non solo perché in contrasto con la percezione dei cittadini, se è vero che il medico di famiglia è ancora una delle figure più apprezzate dagli italiani, ma anche perché confutata da diversi indicatori che, viceversa, documentano un buon livello dell’assistenza primaria. D’altra parte nel settore delle cure primarie non sono emerse, in questi anni, critiche sostanziali e falle pericolose in termini di efficienza e di capacità di presa in carico dei cittadini.
Dunque il motivo che ha spinto il ministro a modificare (con urgenza, visto che è stata posta la fiducia) lo status quo va cercato altrove e in particolare, come lo stesso testo di legge suggerisce (vedi il riferimento ai “…limiti delle disponibilità finanziarie complessive del Sistema sanitario nazionale…”) nella difficile situazione economica. La finalità dunque è la riduzione della spesa sanitaria.
Torno al testo di legge, che recita: “le aggregazioni funzionali territoriali e le unità complesse di cure primarie erogano l’assistenza primaria attraverso personale convenzionato”. Sarà quindi la forma aggregativa e non il singolo medico il soggetto titolato ad erogare l’assistenza sanitaria. Non è una differenza di poco conto: il ruolo del medico di assistenza primaria nel S.S.N. diventerà simile a quello del collega ospedaliero, in quanto mediato dall’inserimento in una struttura analoga al reparto. Queste forme organizzative avranno un referente/coordinatore, ma in un altro comma relativo alle reti di poliambulatori è delineata una vera struttura gerarchica, con la presenza di una figura in posizione di comando, che potrà essere anche un soggetto con rapporto lavorativo di dipendenza dal SSN. Saranno queste strutture a farsi carico della coerenza con la programmazione regionale. L’adesione a questo assetto organizzativo sarà obbligatoria. Nelle aggregazioni funzionali territoriali bisognerà condividere in forma strutturata linee guida, obiettivi, percorsi assistenziali etc., il che comporterà la necessità di uniformare percorsi diagnostici, terapeutici, riabilitativi, il tutto con la supervisione delle ASL, che “…individuano gli obiettivi e concordano i programmi delle forme aggregative … e definiscono i conseguenti livelli di spesa programmati”. Il testo ribadisce l’obbligatorietà dell’adesione al sistema informativo nazionale, obbligo peraltro già operante. Per la medicina generale viene istituito il ruolo unico, che ingloberà, presumibilmente, le funzioni attualmente svolto dai medici di continuità assistenziale (il cui destino non è per nulla chiaro) e si esplicherà tramite l’organizzazione distrettuale, cuore del nuovo sistema, che si avvarrà di reti di poliambulatori aperti al pubblico 24 ore al giorno per sette giorni settimanali compreso i festivi. Sarà dunque necessaria un’idonea turnazione, anche per garantire la copertura assistenziale notturna e festiva.
Questi pochi tratti, densi di obblighi, vincoli e persino rapporti di subordinazione, delineano in maniera sufficientemente chiara la nuova organizzazione del lavoro, che si fonderà non più sul singolo ma su un collettivo. Passeremo dall’organismo unicellulare a quello pluricellulare, che sussumerà le specifiche funzioni svolte dai singoli soggetti e utilizzerà come criteri interni di funzionamento quelli tipici del lavoro dipendente. Appare chiara in tutto ciò una intenzione di inquadramento e di controllo di un settore dimostratosi, evidentemente, non sufficientemente disciplinato nei comportamenti prescrittivi per cui viene posto sotto tutela.
Le forme aggregative assolvono quindi allo scopo di mettere sotto controllo la spesa sanitaria introducendo modalità tipiche del lavoro dipendente, ma in un rapporto lavorativo che figura ancora nominalmente come libero professionale.
Da un punta di vista strettamente sindacale il futuro scenario lavorativo comporterà il cumulo degli aspetti svantaggiosi della posizione del dipendente (obblighi di adesione ad una struttura, introduzione di un abbozzo gerarchico, turnazione anche di notte e nei giorni festivi, perdita della relativa libertà e autonomia attuale, etc.), con quelli della libera professione, primo tra tutti la variabilità di un compenso che continua a basarsi sul numero di scelte e non sulle ore lavorative, per non parlare di ferie, costi, rapporti con il fisco. Lavoreremo come se fossimo dipendenti senza le garanzie e tutele della dipendenza.
Stante così le cose e prescindendo da un giudizio di merito sulla qualità e indipendenza della professione nel nuovo contesto, mi chiedo e chiedo per quale motivo questa profonda trasformazione verso un rapporto a tutti gli effetti di subordinazione non ha comportato, come logica e tutela sindacale della categoria richiederebbe, il passaggio del medico di medicina generale alla dipendenza; mi chiedo per quale motivo si sia scelto di perpetuare il nostro inquadramento come liberi professionisti, che nel nuovo contesto legislativo appare una pura finzione. Mi rendo conto che questo è un tema complesso che non può essere affrontato e liquidato in poche righe e mi limito soltanto ad esprimere dubbi sulla fondatezza delle principali obiezioni alla dipendenza. In particolare non penso che sarebbe economicamente svantaggiosa, almeno per la maggior parte dei colleghi per i quali la medicina generale è la principale se non unica attività professionale, ed è sufficiente confrontare il compenso medio (quindi con un numero di scelte pari al numero ottimale) annuo di un medico di medicina generale, al netto di spese, contributi e tasse, con quello di un ospedaliero di pari anzianità per verificarlo. E’ tutto da dimostrare che comporterebbe un aggravio di costi per il S.S.N. e penso che chi lo afferma debba produrre cifre certe e non opinioni. Non vedo l’automatismo secondo il quale ciò comporterebbe un rischio per le pensioni e per le casse dell’ENPAM, ovviamente a condizione che venga rispettata la prosecuzione di una gestione separata e respinto l’incorporamento nell’INPS. Non credo infine che ciò minerebbe il particolare rapporto di fiducia medico-paziente, che contiene molti aspetti positivi e peculiari, ma anche un grande limite, rappresentato dal fatto che in questo rapporto il paziente, con la sua scelta/revoca, figura anche come pagatore come in qualsiasi rapporto libero professionale, ma in un contesto di servizio pubblico in cui la ASL figura anch’essa come pagatore nonché come controllore, e in cui ci viene chiesto o imposto di farci carico delle compatibilità economiche del sistema. Questa facoltà di revoca del paziente condiziona la libertà decisionale del medico che, di fronte alla richiesta pressante di un farmaco o esame inutile, può trovarsi di fronte al dilemma se accondiscendere malvolentieri e tenersi il paziente o rifiutarla e rischiare una perdita economica, tra l’altro inutilmente perché il collega-concorrente gli concederà ciò che lui ha rifiutato. E’ vero che la nuova legge limita la facoltà di revoca nel corso dell’anno, e questo è forse l’unico aspetto positivo, ma è evidente che ciò non risolve il problema ma lo procrastina soltanto, né d’altra parte è pensabile prolungare oltre l’anno l’impedimento alla revoca. Una soluzione radicale di questa situazione di conflitto non può che partire dalla dissociazione del (sacrosanto) diritto di scelta del medico da parte del paziente dal compenso del medico, e ciò sarebbe possibile solo se il compenso fosse determinato dal numero di ore di lavorative e non dal numero di pazienti, come peraltro avviene nel lavoro dipendente, ma anche in molte altre situazioni lavorative libero professionali
E’ facile prevedere quindi che, non essendo stata rimossa la fonte del problema, e malgrado il tentativo di imbrigliare e indirizzare le scelte del medico attraverso una complicata struttura organizzativa, l’auspicata riduzione della spesa non si verificherà, e i medici si ritroveranno soltanto un carico di obblighi, burocrazia, limitazioni, maggior lavoro e perdite di tempo aggiuntive. Inutilmente.
Un secondo aspetto importante è quello relativo all’apertura non stop degli ambulatori. La legge affida alle Regioni il compito di disciplinare le UCCP, indicando comunque l’orizzonte, rappresentato da “…reti di ambulatori territoriali, dotati di strumentazione di base, aperti al pubblico per tutto l’arco della giornata, nonché nei giorni festivi con idonea turnazione, che operano in coordinamento e in collegamento telematico con le strutture ospedaliere…”. L’ unità complessa di cure primarie sarà costituita da personale convenzionato, ossia infermiere, ostetrica, fisioterapista, assistente sociale e ovviamente dal/dai medici di medicina generale, ma anche pediatri e, par di capire, specialisti ambulatoriali. Sono tutte professionalità e funzioni già esistenti e non si comprende la necessità di riaccorparle in una unità di luogo se non nell’ottica dell’apertura 24 ore al giorno, ossia della creazione di un presidio permanente.
A che scopo?
Quello di distribuire meglio il carico lavorativo e ridurre i tempi di attesa del paziente? Non credo, perché il collo di bottiglia che ritarda la risposta alle esigenze di salute dei cittadini non è certo la risposta del medico di medicina generale, che già ora è pressoché immediata, senza bisogno dell’H 24.
Quello di sostituire il pronto soccorso? E’ impensabile, per considerazioni talmente ovvie che non vale la pena elencarle
Quello di fare da primo filtro al pronto soccorso? Ma se lo scopo fosse questo non sarebbe molto più semplice, meno complicato e dispendioso, con minore perdita di tempo per il cittadino al quale viene evitato di recarsi in due posti diversi, e soprattutto molto più tutelante per il paziente e per il medico, potenziare il pronto soccorso, magari avvalendosi proprio dei medici di famiglia?
A differenza che per le questioni sollevate prima, in cui sembra intravedere una finalità per quanto discutibile, nell’apertura non stop degli ambulatori non si riesce a intravedere nessuno scopo, per cui appare un’operazione di scarsa o nulla utilità, di costi improponibili e che contribuirebbe ad incrementare ulteriormente i carichi di lavoro del medico. E resta pure la sensazione di un’operazione di difficile e improbabile realizzazione, poco realistica e molto mediatica, operazione peraltro riuscita, tanto da far passare in secondo piano la contestuale riduzione di posti letto ospedalieri, che peggiorerà la qualità dell’assistenza sanitaria ai cittadini in cambio di niente.
Un terzo e forse più preoccupante tema che vale la pena affrontare è quello dei costi. I poliambulatori territoriali dovranno dotarsi di strumentazione di base, di personale di studio, affrontare spese di gestione. Chi sosterrà i costi? Il comma 2 dell’art.8 recita “Le Regioni provvedono all’attuazione di quanto disposto dall’articolo 8…, nei limiti delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale a legislazione vigente”. Se la prima parte della frase (le Regioni provvedono), pur nella vaghezza della formulazione, può lasciar sperare che i costi verrebbero sostenuti dalla Regione, la seconda parte (nei limiti delle disponibilità finanziarie) non credo lasci dubbi: i costi dovranno sostenerli i medici.
Ci sono due considerazioni da fare su questa questione.
La prima è che si creerebbero differenze anche vistose tra quei medici che hanno spirito imprenditoriale e intendono investire in maniera consistente (basti pensare ai costi di un ecografo), e chi invece si limiterebbe al minimo indispensabile, e ciò produrrebbe delle differenze vistose nell’assistenza ai cittadini, in contrasto con il principio universalistico della sanità pubblica. La seconda è che, per rientrare dai costi d’investimento e di gestione di una struttura complessa e anche, in un’ottica imprenditoriale, per trarne profitto, inevitabilmente parte del tempo, dello spazio, del personale e delle attrezzature verrebbe utilizzato per incrementare il canale dell’attività privata. La medicina generale, complice anche la prospettiva di scarsi o nulli incrementi economici contrattuali o addirittura di una contrazione stipendiale, grazie anche ai “livelli di spesa programmata” e alle “forme di spesa a budget” che implicano un tetto oltre il quale la ASL non paga, diventerebbe così, almeno per alcuni, il trampolino di lancio per una nuova figura manageriale in campo medico, ed il servizio pubblico diventerebbe una matrice su cui far decollare la sanità privata anche nel settore delle cure primarie. Questa prospettiva contribuirebbe ad indebolire o demolire il S.S.N., aumenterebbe la spesa sanitaria dei cittadini ed è contraria all’idea che molti medici di medicina generale, me compreso, hanno della loro professione, del loro ruolo, del servizio pubblico.

Un saluto
Renato De Sanctis
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